IL MUTAMENTO DELLE FESTE DI PANDELA A DORGALI

Tesi di Laurea: ADA FRONTEDDU

Ada Fronteddu
11/09/2013
Tradizioni
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Oggetto della mia ricerca è stata un'inchiesta sul mutamento culturale delle feste di pandela a Dorgali, organizzate in passato da un priorato familiare e, negli ultimi vent'anni, da associazioni culturali e di volontariato del paese stesso. A Dorgali, comune in provincia di Nuoro, si svolgono ogni anno sei feste di pandela (di stendardo) il cui ciclo si ripete ogni anno, a partire dal primo sabato di maggio sino a metà settembre con la cadenza di una ogni due settimane circa. Letteralmente pandela significa vessillo, è un quadro di stoffa, dipinto a mano, raffigurante l'immagine della Madonna o del Santo festeggiato, issato su un bastone in legno mediante il quale, durante la festa, è portato in processione.

Muovendo dall'analisi delle feste di pandela fondate sul sistema del priorato condotta da Giannetta Murru Corriga e da Felice Tiragallo nel 2007, ho voluto indagare il mutamento delle feste nel corso degli anni, e le conseguenze che il passaggio dal sistema del priorato a quello dell'associazionismo ha comportato non solo sul piano organizzativo delle feste, ma soprattutto sulla rete di relazioni sociali da esse create, oltre che i mutamenti più ampi e generali sul senso e il significato di questo tipo di feste in particolare come fatti sociali totali secondo l'interpretazione maussiana. Il focus di questo studio è posto sulla forma attuale della festa, che ho interpretato secondo il terzo paradigma del dono come promotore di relazioni sociali elaborato da Alain Caillé (1998) e nel quadro della quarta sfera, quella del dono agli estranei, individuata da  J.Godbout (1993); ciò mi ha consentito di considerare la festa come un dono, non più realizzato all'interno di uno o più gruppi parentali in stretta vicinanza tra loro, o nel quadro di relazioni amicali e di comparatico (come avveniva con il priorato), bensì in una sfera molto più ampia di relazioni sociali che viene a coinvolgere anche gli estranei ed alimenta reti potenzialmente aperte all'infinito.

La ricerca è consistita in un'inchiesta sul campo con riprese audiovisive e scatti fotografici da me realizzati - ricorrendo anche all'aiuto di uno o più collaboratori - nel corso di tre feste: la festa della Madonna di Buon Cammino il 9 giugno 2012, la festa di San Giovanni Battista il 23 giugno 2012 e la festa di San Pantaleo il 29 luglio 2012. Ne ho redatto i diari di campo e me ne sono servita come modello per fare considerazioni anche sulle altre tre feste di pandela (della Madonna di Valverde, dello Spirito Santo, dei Santi Cornelio e Cipriano). Ho condotto delle interviste individuali agli organizzatori delle feste, agli ospiti assidui e agli ospiti occasionali (turisti o dorgalesi emigrati) delle singole feste; le ho registrate e successivamente trascritte.

In origine la festa di pandela era in memoria degli antenati, il suo dono rinnovava i legami di parentela fra i discendenti degli antichi fondatori della chiesa, i priori naturali, e questi raccogliendosi attorno allo stendardo, simbolo della festa, si costituivano come carva, gruppo parentale anche oltre il terzo grado, legate tra loro in nome del Santo. Era una festa di parenti stretti il cui significato principale stava nella dichiarazione di identità familiare e discendenza comune, e pertanto di netta distinzione dagli altri gruppi parentali del paese. Col passare del tempo si perse tra i dorgalesi la memoria di appartenenza alle carvas naturali ed emerse la figura del priore devoto.

Ai primi del Novecento le feste organizzate dai priori devoti si mantennero abbastanza sobrie ed essenziali, i priori offrivano la messa e un modesto invito di caffe e biscotti, mentre per il pranzo tutti portavano qualcosa, in una sorta di mutualità alimentare per la quale ciascuno offre e beneficia delle offerte. La circolazione di beni materiali e il loro consumo erano limitati entro il circuito rigorosamente chiuso delle varie unità familiari, ben distinte tra loro, ma la possibilità di stringere nuovi legami nel corso della festa di pandela cominciava ad estendersi e realizzarsi nella compartecipazione di tutti all'evento religioso, andando oltre le barriere di discendenza naturale. La sobrietà del consumo festivo si mantenne sino al secondo dopoguerra.

Si passò oltre quando, tra gli anni Sessanta e Ottanta, Dorgali si ritrovò in pieno boom economico, soprattutto grazie alla nascita e allo sviluppo della vocazione turistica legata al suo territorio. La festa di pandela organizzata dai priori devoti si trasformò in una vera e propria festa di bigmen (simile a quelle descritte da Bronislaw Malinowski) nella quale la solennizzazione di una posizione di prestigio sociale prevedeva una generosa, quanto eccessiva, distribuzione di beni e servizi, una loro circolazione come nel sistema di scambi equilibrati del circolo Kula, oltre che distruzione paragonabile anche ai potlacht descritti da Franz Boas. La festa divenne il dono rituale di offerta di ospitalità e di un grande banchetto esagerato al quale erano invitate dalle mille alle duemila persone, con una spesa di circa 20/30 milioni di lire a carico di una sola famiglia. Tutti gli attori del ciclo donativo, priori e invitati, instauravano, confermavano, solennizzavano i propri legami sociali non soltanto durante lo svolgimento della festa ma anche durante i suoi preparativi. Il circuito del dono si fece molto più ampio rispetto a quello realizzato dalla festa di pandela quando era ancora organizzata dai priori naturali o dai primissimi priori devoti, cominciò infatti a sottendere una rete di traffici e solidarietà molto più fitta, al di là dei soli rapporti parentali ed amicali, ma pur sempre entro l'ambito della socialità primaria. Il dono della festa dei “priori-bigmen” però cominciò a nutrirsi di un forte sentimento di rivendicazione antagonistica. Tutti, seppur non apertamente, facevano il confronto tra quella data festa e quella precedente. La buona riuscita della festa si misurava infatti sulla quantità e qualità di cibo e bevande e di prestazioni gratuite di servizi che il priore aveva saputo convogliare in essa attraverso il circuito del dono, e soprattutto si misurava sulla quantità di persone che avevano accettato l'invito e contribuito al consumo festivo. Il campo delle relazioni di dono riuscito e generoso divenne allo stesso tempo il campo di esibizione ed agonismo tacito tra priori, accentuando il suo carattere “usurario”.

Si assistette ad un vero e proprio gigantismo della festa che a metà degli anni Novanta portò alla crisi del priorato: i nuovi candidati estratti preferivano rifiutare l'onore e l'onere di fare la festa piuttosto che limitare il numero degli invitati o la varietà di portate del banchetto perché questo avrebbe comportato una critica sociale da parte della comunità e una complessiva riduzione di prestigio personale e familiare. Il dono compiuto non poté più essere ricambiato da nuovi priori, tornò indietro distruggendo se stesso e mettendo a rischio le relazioni che aveva generato. L'unica soluzione fu quella di torrare sa pandela a su rettore; nessuno si sentiva più in grado di competere con i priori delle precedenti feste di pandela. La comunità dorgalese, assistendo al momento di crisi del priorato, si era dunque trovata a fare i conti con la deritualizzazione del dono e con il mercato; ma entro se stessa ha saputo trovare le forze in grado di riproporre la tradizione delle feste che sembrava ormai perduta e dunque riaprirsi alla costante ricerca e sanzione di solidarietà non solo tra i suoi membri, ma anche nei confronti degli estranei, dell'Altro.

Il merito di aver risvegliato lo spirito solidale dei dorgalesi è delle associazioni culturali e di volontariato del paese, esse hanno saputo riproporre la festa, a partire dal 2002, arricchendola nel senso di una sua intensificazione simbolica e di una maggiore codificazione sociale. Qui sta il salto in avanti, il passaggio dal dono arcaico ad una sua reinvenzione o meglio al dono moderno, un dono moderno tutto inquadrato nel terzo paradigma del dono elaborato da Alain Caillé e, soprattutto nella quarta sfera, quella del dono agli estranei, indicata da Jacques Godbout. Ãˆ vero, l'enfasi sul cibo servito alla festa è minore rispetto al passato e i preparativi sono molto più rapidi, ma tutto l'evento oggi riscatta un più vasto universo di solidarietà. 

Attualmente le diverse associazioni utilizzano ed iterano tutte un medesimo schema operativo e organizzativo delle feste di pandela, che può prevedere appena sottili variazioni. Secondo questo modello, sin dal mattino del giorno della festa, i membri dei gruppi di volontariato e i loro collaboratori come ad esempio amici, fratelli, mogli, sono all'opera per allestire il santuario, preparare le tavolate, pulire e addobbare la chiesa con tovaglie ricamate e composizioni di fiori. Viene preparata una consolle con impianti stereo e altoparlanti che servirà a sera per l'intrattenimento musicale. La carne è preparata nella caratteristica urredda, e viene poi tagliata per essere servita a sera agli ospiti; la quantità di carne è sicuramente minore rispetto a quella che veniva arrostita durante le antiche feste del priorato ma è ancora elemento fondamentale dell'invito. Una volta che al mattino è stato tutto preparato, al pomeriggio verso le 17 ha inizio la processione delle pandelas a cavallo, ed oltre agli stendardi sacri dei Santi viene portato in processione anche lo stendardo dell'associazione organizzatrice. Oggi le associazioni, così come ieri i priori, si riconoscono nella pandela, la fanno propria e la ritengono un eloquente simbolo della loro attività di volontariato. Non vi è processione a cavallo per la festa di pandela di San Pantaleo perché la chiesa è raggiungibile solo in barca e qui sono i volontari stessi a preoccuparsi del trasporto degli ospiti in barca appunto. Per quanto riguarda la funzione religiosa essa è ancora molto sentita, in particolare dalle persone anziane e il rituale si mantiene fedele all'originale soprattutto nella solennità dei tre giri rituali attorno alla chiesa. La messa è cantata da un coro, diverso per ogni festa, e anche in questo modo si afferma la collaborazione tra le varie associazioni del paese. Per ogni festa ne vengono coinvolte almeno quattro: quella organizzatrice, quella ippica, la corale e un gruppo folk per il ballo tradizionale. All'uscita dalla messa ha inizio il momento vertice del consumo festivo e della socialità e convivialità; le relazioni sociali entrano nel vivo. Oggi ad essere coinvolta nel circuito della festa di pandela non è più la sola socialità primaria, ma anche quella secondaria. Tra gli ospiti vi sono non soltanto dorgalesi, ma anche turisti o dorgalesi emigrati che rientrano in paese per le vacanze. Il dono della festa lega, personalizza le relazioni, le rende intime e consuete, si apre all'esterno della comunità dorgalese, ai turisti, all'Altro e a tutti coloro che hanno interesse a scoprire la tradizione della festa, il suo significato, ciò che rappresenta ed ha rappresentato per i dorgalesi stessi e ciò che potrebbe rappresentare per i nuovi ospiti. Ciascuno degli ospiti, per parte sua, è donatore prima che donatario, poiché con la sua presenza all'evento fa dono di sé e del suo tempo. Ãˆ secondo le forme d'obbligo dell'invito, su cumbidu, che tutti onorano il proprio ruolo di ospiti o invitati, godono della compagnia altrui, del consumo di cibo e di vino, del divertimento collettivo, partecipano ai balli tradizionali, gli stessi turisti si cimentano nel ballo a tres passos.

Inoltre le associazioni di volontariato stanno tentando di innovare la festa proponendo nuovi generi di intrattenimento, come il karaoke, performances canore moderne di un solista, l'esibizione di band musicali e di gruppi di ballo moderno oltre a quelli più tradizionali come i balli sardi e i canti a tenores. D'altro canto si è consapevoli che è necessario trovare la giusta misura tra tradizione ed innovazione: per attrarre i giovani e i turisti non si può giungere a stravolgere e snaturare la festa nei suoi caratteri più tipici. La festa oggi risponde al preciso codice di comportamenti e di valori che fa capo al mondo dell'associazionismo, non solo a quello della tradizione. Non vi è più una verticalizzazione del dono, non si afferma più quel sistema gerarchico che dava luogo ad una rete di obblighi sociali, di dipendenze, attorno al priore e alla sua famiglia. Si è reagito alla crisi del priorato postulando forme di redistribuzione più regolate ed incoraggiando la beneficenza di gruppo o individuale: il dono della festa introduce il valore di legame. Nel sistema dell'associazionismo c'è dono del tempo, dono di sé, della propria disponibilità al legame che si annoda e si riannoda nel tempo condiviso, c'è dono di competenze, scambio di esperienze. Nell'offrire la festa così come nell'offrire i servizi di volontariato si racconta la storia di un dono ricevuto e trasmesso perché la sua memoria non vada perduta. Ciò che conta, oggi come allora, è la qualità relazionale. I membri dell'associazione, così come facevano i priori in passato, si mettono in gioco non per il solo servizio che offrono ma come persone con una loro vita e una loro storia, disposte ad incontrare altre persone, a condividere con esse le loro storie, degli uni e degli Altri.

Festa e volontariato, le diverse maglie della rete dunque non solo si intersecano, ma rinviano di continuo l'una all'altra. La festa è il momento-vertice, in cui ogni associazione ha di fronte a sé, come una grande offerta sociale, la disponibilità di tutto il paese ad entrare in relazione con essa e con le sue attività. È forte la consapevolezza da parte dei membri delle associazioni che l'incapacità di incontro e scambio attivo rendono più difficile il superamento dei particolarismi ed ostacolano la formazione di quel codice di abitudini e di regole condivise su cui si fondano le reti della convivenza pubblica e della fiducia collettiva. Il dono della festa non solo dà una misura del ruolo del singolo individuo nella collettività ma è anche e soprattutto un banco di prova della società nel suo insieme. Aldilà dei limiti riguardo l'affluenza di giovani e turisti che le associazioni stanno tentando di superare, si è inaugurata una nuova stagione in cui il dono della festa può esercitarsi nuovamente come libera scelta, senza condizionamenti dovuti alla possibile critica sociale o al confronto con gli altri donatori.

Da tutta questa riflessione emerge il forte accreditamento del dono della festa come vettore di unione solidale e di armonia sociale; è un efficiente strumento di costruzione ed interazione sociale che i dorgalesi hanno saputo recuperare ed innovare, e che adesso, con il contributo delle nuove generazioni, devono continuare a valorizzare. A Dorgali le feste di pandela continuano a rappresentare, come in passato, lo spazio ideale di una socialità garantita da un complesso cerimoniale in cui il dono è elemento decisivo ed ancora risponde al movimento di dare, ricevere e ricambiare.

 

 

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