La chiesa di Valverde a Dorgali è registrata nella Relazione della Chiesa di Dorgali del 1781 documento scritto in spagnolo. In questo documento si parla dei fondatori: Giovanni Lai Marteddu e Giovanni Antonio Ciusa Soro. Si parla di due vigne, di un tancato di un ettaro e di un territorio aperto di due ettari appartenenti alla proprietà di questa chiesa.
Il culto di Valverde è un culto di tradizione italiana e siciliana in particolare, viene venerata per il prodigio del pilastro dove apparse ad un viandante siciliano la Madonna. La chiesa fu realizzata o restaurata nel XVII secolo. Il culto di Dorgali però potrebbe risalire al culto spagnolo di Nuestra Seňora del Palo Verde. Infatti la Vergine comparve a San Giacomo Apostolo, Santu Jagu, su un palo, appunto di color verde, per incoraggiarlo in un momento di sconforto nella sua missione di proselitismo in Galizia nel Nord Ovest della Spagna. Il culto potrebbe anche essere quello catalano di Vallvert e cioè Valle Verde e questa era la tesi dello storico Monsignor Alberti.
La località dove si trova la chiesa è Oroviddo che significa “oru a bidda” cioè vicino al paese. La seconda dedicazione di questa chiesa è quella dell’Annunziata. E qui è evidente che ci fu una sovrapposizione con un presistente culto pagano. Infatti il culto dell’Annunziata molto spesso tradisce la presenza di un tempio alla dea romana Minerva, la dea Athena dei greci, protettrice delle vergini. Fino alla prima metà del 1900 le tracce di un abitato romano e della viabilità lastricata romana, dotata di marciapiedi, anche di discreta dimensione, erano visibili a Oroviddo. Di un tempio di Minerva se ne parla nel congedo in bronzo del soldato romano Tunila, in dorgalese veniva tradotto Tunile (vedi S’Arcu de Tunile vicino a Su Praicarzu), cittadino di Cares (oggi si sarebbe detto Carese). Dove fosse questo Cares non è dato saperlo ma la località che porta il nome più simile a Cares è Cartoe, anche questo usato come porto, che significherebbe Car-Tobe e cioè Stagno dei salici o dei tamerici in protosardo.
Nelle immediate vicinanze al luogo del ritrovamento del congedo di Tunila è stata ritrovata la bellissima epigrafe in bronzo del IV secolo del Comandante dei Vigili del fuoco di Roma Egnatuleio Anastasio, del quale può essere presa visione nel Museo Civico di Dorgali. In prossimità del Museo de S’Abba Frisca è presente l’edificio romano dove fu ritrovato il disco in bronzo con l’epigrafe. Questo edificio è esteso circa 500 metri quadri e si trova sotto un metro di terra. L’edificio poteva essere una Caserma dei Vigili del Fuoco di Roma, ma, secondo un appassionato studioso di storia romana docente universitario di economia a Pavia, in realtà si tratterebbe di un demanio imperiale che fu affidato ad Egnatuleio Anastasio, alto funzionario imperiale. Da qui una viabilità romana si inerpicava al valico di Monte Ruiu sulla catena calcarea in prossimità dell’attuale strada di Littu. Questa strada conduceva al porto di Sulcalis, Turcali in dorgalese, che oggi è la località di Nuraghe Sa Pischina, Nuraghe Mannu e Nuraghe Arvu sulla costa.
È probabile che il cristianesimo giunse a Dorgali dal Nord Africa con le navi cerealicole che partendo da Cartagine giungevano nel Golfo di Orosei. Attraverso questa rotta marina che i romani chiamavano la Cartagine-Sulcos, dove i sulcos sono le codule del Golfo di Orosei, fu portato a Dorgali il culto di San Cornelio e San Cipriano, quest’ultimo patrono di Cartagine. La distribuzione demografica romana resistette o meglio vivacchiò fino all’Alto Medioevo, infatti Cares è probabile che fu denominata Siddai in periodo medioevale. I demani imperiali passano alla Chiesa prima greca con cessioni imperiali e poi alla Chiesa latina con cessioni giudicali intorno al XI secolo.
A Dorgali era collocato il demanio imperiale poi ceduto al Monastero di San Giovanni di Ossillili o di Su Lillu (Il Giglio). Questo monastero con quello di Santa Maria di Gultudofe (Santa Maria d’Itria dell’Ortobene) gestiva il vastissimo demanio ecclesiale, extrastatale e zona franca, denominato in ultimo del Girifai ricompreso tra il Rio Cedrino e il Rio Sologo. Comunque Suddai o Sullai è un paese dell’area baroniese, secondo lo storico medioevale Panedda sarebbe stato vicino a Posada, ma lì non vi è nessun sito con un nome simile. Il centro è documentato che fù distrutto dagli arabi nel 1504 la cui popolazione residua fu autorizzata dagli spagnoli ad addossarsi al castro fortificato più vicino. Mentre Oroviddo è un termine recente che ha sostituito un termine più antico che potrebbe essere presente nella documentazione mediovale infatti durante la conquista spagnola associato a Dorgali è presente un centro denominato “Corevova”, che potrebbe essere il nome sardo di una località presso Luchiddai denominata Corruatta, nome oggi desueto, oppure un altro termine simile Corache, presente nella documentazione, peraltro confinante con il centro medioevale di Gonarium (Gonare), poi fusosi con Dorgali.
Anche il culto della Vergine giunse con le rotte marittime dall’Africa ed è molto plausibile che i primi centri di culto mariano nell’agro dorgalese furono a Nuraghe Mannu dove ancora è presente “Sa Ruta de Maria” e a Oroviddo proprio nella chiesa di Valverde. Oroviddo infatti era collegato a Siddai da una strada romana che passava presso la località di Sa Tuppeddie.
L’importanza della chiesa di Valverde nella storia dorgalese è molto significativa. Fino a pochi anni fa si svolgeva una festa campestre la prima domenica di maggio, ed era preceduta dalla novena. Ripresa qualche anno fa, è parte delle cosidette “festas de pandela” e oggi della festa se ne occupa l’associazione di volontariato della Croce Verde e si svolge il sabato precedente la prima domenica di maggio, con la processione, che dalla parrocchia di Santa Caterina, parte nel pomeriggio; all’arrivo è officiata l’Eucarestia ed in serata l’organizzazione offre un rinfresco ed intrattenimenti musicali.
Si raggiunge percorrendo neanche 1 km dalla circonvallazione a monte di Dorgali; è segnalata e si trova 200 metri più in là della chiesa campestre di San Giovanni Crisostomo. All’area si accede tramite un cancello ed un breve sentiero alberato. Vi è una pineta e le classiche costruzioni di supporto per la festa. Proseguendo lungo la strada è possibile aggirare il Monte Ispinigoli e ricongiungersi al percorso per la chiesa campestre di San Giovanni Su Anzu.