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Giovedì Grasso. O fa’ o asolu o pitzinnu o lettolu ... è jovia de lardajolu!

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Questa mattina un gustoso profumo di Tippule nell'aria ha annunciato il Giovedì Grasso a Dorgali. “Jovia de lardajolu”, secondo appuntamento con il Carnevale Dorgalese (segui il link per conoscere il programma del Carrasecare Durgalesu 2016), l’unica festa sarda non collegata alla liturgia cattolica con usanze differenti che variano di paese in paese.

L’appuntamento è alle 18:30 nella sede del Gruppo Folk Tiscali che invita tutta la popolazione “a rispolverare sos orgottes” ed insieme a loro, con balli e musica, dare vita al centro del paese: da Via Lamarmora, lungo “Su Ponte”, fino in Piazza Sant’Andrea a “Su Cucuru” dove la festa continuerà con vino e “fa’ e lardu” a cura dell'Associazione San Giuseppe con i cuochi marchiati Leva 86.

Con il tramanto numerose compagnie di baldoria invaderanno le strade e le case del nostro paese utilizzando due tipi di camuffamento, uno tipico dorgalese e uno che possiamo definire più classico in quanto di costume in tanti altri paesi della Sardegna.

La tradizionale maschera dorgalese di “lardajolu” deriva da “fa’ e lardu” che, secondo fonti verbali attendibili, significa letteralmente “persona a cui piace mangiare il lardo”; oggi tale locuzione ricorda solamente lo spuntino, tipico del periodo, a base di fave e lardo. In pochi hanno avuto la possibilità di conoscere quest’usanza che nel tempo ha perso alcune peculiarità fino ad essere stata addirittura messa da parte per il rimando alla povertà della maschera, solo da qualche anno è stata ripresa dal Gruppo Folk Tiscali che con il caratteristico costume anima l’evento.

Secondo le memorie giovanili dei più adulti, i protagonisti di questa giornata erano solo gli uomini vestiti in velluto e gambali con addosso “sa bervechìna de peddes manna”, un cappotto di pelliccia di pecora lungo fino agli stinchi - attualmente quasi irreperibile e dunque sostituito da una normale giacca -. La faccia rigorosamente tinta di nero o “titieddata”, in testa il tipico cappello da pastore “bonete” tenuto fermo da una “perrichèdda”, un foulard colorato che circonda la testa ed infine legato sotto il mento.
Il costume classico invece, forse più noto e perciò confuso con il tradizionale “lardajolu”, è l'umile travestimento di stracci realizzato con materiali facilmente reperibili in tutte le case, un lenzuolo ed un fiocco rosso.


Il divertimento, allora come oggi, consisteva nell’intimorire i più piccoli oltre che nel passare qualche ora di stravizio in amicizia con la complicità di un bicchiere di vino. Inoltre con la scusa dell’abito, le combriccole, solitamente costituite da uomini umili che avevano appena concluso la giornata di lavoro, si facevano invitare a cena dai compaesani benestanti con una velata quanto innocua minaccia: «O fa’ o asolu o pitzinnu o lettolu!».

Negli ultimi tempi l'usanza è stata leggermente rivisitata e i gruppi in maschera portano l'allegria nelle case in cambio di “tippulas”, “zambellas”, “orullettas” e naturalmente un buon rosso. Sempre in allerta dunque, l’ospite carnevalesco in questi giorni può bussare anche ora alla vostra porta ...

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