«Pare che accada spesso, a questi artisti precoci di morire giovanissimi o,
per un motivo o per l’altro, di abbondonare e dimenticare addirittura
la loro vocazione innata. Questo contrasta con il comportamento della
maggioranza degli artisti operanti, che sono artisti proprio perché lo
vogliono disperatamente; mentre i primi semplicemente lo sono.
Salvatore era uno di questi.»
Costantino Nivola
Una meteora nel panorama artistico italiano del Novecento, così in molti definiscono Salvatore Fancello, pittore, scultore e ceramista dorgalese. Espressione calzante se si pensa alla sua breve vita e alla sua attività artistica svoltasi nell’arco di un solo decennio, ma non per questo priva di risultati eccezionali nei campi della scultura ceramica e del disegno.
Salvatore nasce a Dorgali l’8 maggio del 1916, penultimo di dodici figli di Pietro e Rosaria Cucca. Frequenta la locale scuola di avviamento professionale, si diploma nel 1929 ed è assunto come apprendista presso la bottega ceramica di Ciriaco Piras. Grazie a quest’impiego il ragazzo può contribuire al mantenimento della famiglia ed esercitare la propria manualità e attitudine alla produzione grafica e ceramica. Le prospettive di crescita artistica e culturale sembrano limitate, ma il futuro ha ben altro in serbo per lui: nel 1930, a soli 14 anni, partecipa ad un concorso bandito dal Consorzio dell'Economia Corporativa di Nuoro e vince una delle due borse di studio in palio. Può così iscriversi all’ambito Istituto Superiore Industrie Artistiche di Monza.
Il 28 ottobre 1930 lascia Dorgali alla volta di Monza e il distacco è reso straziante dalla morte della madre proprio alla vigilia della partenza. In viaggio con lui c’è Giovanni Pintori, anch’egli borsista. I due diventano ben presto amici e l’anno successivo li raggiungerà all’ISIA un altro giovane sardo, Costantino Nivola. I tre sodali lavoreranno insieme in varie occasioni.
All’ISIA Fancello dimostra sin da subito notevoli capacità artistiche, ma è il 1936 l’anno del suo esordio ufficiale: consegue il diploma di “Maestro d’arte” e riceve il primo grande riconoscimento esponendo alla VI Triennale di Milano, sotto l’egida di Giuseppe Pagano. In quest’occasione gli viene assegnato il Gran Premio per la serie di piastrelle dei Segni zodiacali.
Grazie ai larghi consensi ottenuti e al vivo interesse della critica nei suoi confronti inizia a cercare committenze e occasioni di lavoro. Nell’ottobre dello stesso anno si trasferisce a Padova e poi a Milano (dove già si trovano Nivola e Pintori), frequenta i circoli di cultura razionalista e ha modo di lavorare per la Olivetti. Si reca spesso ad Albisola dove lavora con Lucio Fontana presso il laboratorio di ceramica di Tullio Mazzotti.
La sua attività artistica è purtroppo interrotta a più riprese dalla chiamata alle armi, a partire dal dicembre 1937, quando viene convocato alla scuola Allievi Ufficiali di Modena. Così scrive al fratello Marco: «[…] Sono stato chiamato improvvisamente alle armi. […] Sono stato già visitato e fatto idoneo. Oggi mi vestiranno e domani comincerò anch’io a marciare».
È un momento difficile per lui, fatto di attese e incertezze anche dal punto di vista economico. Nel 1938 Giulia Veronesi gli dedica un articolo sulla rivista Corrente e ne elogia in particolare l’abilità grafica. Inoltre le opere da lui esposte alla VI Triennale vengono pubblicate da Giuseppe Pagano nel volume Arte decorativa italiana di Hoepli. Lavora ancora ad Albisola, dove si trova a stretto contatto con i futuristi (Martini, Sassu, Munari) e, ancora una volta, con Fontana.
È questo il periodo in cui raggiunge una completa maturità espressiva ed esegue oltre centoventi pezzi di notevole valore (Bestiario, piatti, vasi, il Grande Presepio) che costituiscono il lascito più rappresentativo della sua arte alla scultura italiana del Novecento. In questi suoi lavori plastici trasfigura con viva emozione, fluidità ed immediatezza gli ambienti e gli animali del suo vissuto in Sardegna, del sogno e del ricordo: il risultato è una manifattura ceramica primitiva e d’avanguardia al tempo stesso, rappresentativa di un “luogo e non-luogo” senza tempo.
Sempre nel 1938 realizza il Disegno ininterrotto, a china ed acquerello, su un lungo rotolo di carta per telescrivente (di circa sette metri) e ne fa dono di nozze a Costantino Nivola e Ruth Guggenheim. Il Disegno Ininterrotto, apice delle capacità grafiche di Salvatore, racconta per immagini l’universo poetico sotteso alla sua arte, storia infinita e raffinata di un’espressività degna, se mi è concesso l’ardito accostamento, dei versi surrealisti della più tarda Poesie Ininterrompue (1946) di Paul Eluard. Ma il Disegno ininterrotto, con le sue fantastiche figure policrome, ha addirittura un’efficacia descrittiva superiore a quella della parola scritta ed è oggi conservato a Dorgali presso la sala Fancello, in casa Dore.
Nel 1939 Salvatore è richiamato alle armi e dall’aprile 1940 al gennaio 1941 è a Milano in licenza illimitata. Espone alla VII Triennale e consegue il Diploma d'Onore.
Il giovane, oltre che impegnato, è innamorato e scrive con frequenza e tenerezza a Renata, conosciuta a Monza e trasferitasi a New York con la sorella Ruth, moglie di Nivola, per sfuggire alle leggi razziali.
Rinfrancato dall’amore per Renata, Salvatore approfitta della licenza per procedere con passione alla realizzazione dell’importante apparato decorativo in ceramica per la sala mensa dell'Università Bocconi di Milano (ciclo di lavori avviato ad Albisola su commissione di Pagano e che resterà incompleto).
Nel gennaio 1941 è richiamato alle armi a Baldissero (Ivrea) e da qui a Bari, porto d’imbarco per il fronte greco-albanese. Le ultime lettere inviate ai parenti risalgono al febbraio del 1941 e testimoniano la sua speranza in un congedo definitivo e i suoi progetti per il futuro, tra i quali l’intento di frequentare un corso di scultura presso l’Accademia di Belle Arti.
Muore il 12 marzo 1941 a Bregu Rapit, in Albania, non ancora venticinquenne.
Così si conclude la breve ma intensa vita del giovane Salvatore Fancello, un talento spontaneo a cui il destino non ha riservato più ampi scenari per svilupparsi e maturare ma, forse anche per questo, un talento dal fascino senza fine, ininterrotto proprio come il suo Disegno.
Bibliografia e fonti:
- Argan G., Naitza S., Delogu I., Lai C., Fois V., Salvatore Fancello, Ilisso, Nuoro, 1988.
- Cassanelli R., Alla periferia del paradiso, Jaka Book Milano – Wide Cagliari, 2003.
- Crespi A., Salvatore Fancello, Ilisso, Nuoro, 2005.
- Mele B., Milano 1930-1940: arte, letteratura e poesia a confronto nell’opera di Salvatore Fancello, Lubrina Editore, Bergamo, 2002.